L'evoluzione della coscienza e la realtà dell'anima


Il necessario sacrificio dell'anima sull'altare dell'evoluzione della coscienza
«La sede dell’anima, dunque, se con il concetto di anima però, non ci si riferisce a un principio spirituale, come tutto il pensiero filosofico, perlomeno occidentale, ha sempre fatto, a partire dalle definizioni di essa come quella aristotelica di entelechia fino a quella hegeliana di spirito soggettivo, ma ci si riferisce piuttosto a quelle esperienze emotive dell’esistenza umana che vengono da noi colte in un insieme, il quale a sua volta ci si presenta come una particolare dimensione dell’essere: quella cosiddetta psichica.
Definizione questa dell’anima invalsa ormai all’interno di quel contesto culturale in cui è stata adottata, che è quello delle scienze psicologiche, e nel quale l’anima stessa ha ritrovato identità nella ben nota figura mitica che ha nome ‘psiche’. La ‘psiche’ e quindi l’anima, è l’ambito, nell’uomo, in cui hanno luogo i fenomeni inerenti alla vita di relazione e nel quale perciò si muove la tensione che la relazione stessa produce. L’ambito dunque dove l’affettività si dà nel suo stesso immediato generarsi prima di ogni mediazione, in quel modo che noi chiamiamo appunto viscerale per contrapporlo a quello riflessivo che chiamiamo razionale.
Sembra dunque che la trasformazione che i nuovi centri cerebrali sono deputati a operare debba colpire la vita psichica dell’uomo. O, potremmo ancora dire, sembra che in questo salto evolutivo l’uomo debba sacrificare la propria anima.»
(Il seguente brano è stato tratto dall’articolo di Silvia Montefoschi "L’anima e l’ombra" apparso nel numero speciale per il 25° anniversario della morte di C.G. Jung della rivista "L’immaginale" del 1986)

Nessun commento:

Posta un commento